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al carattere profetico e demoniaco della bestia (chè la ragione gli dimostra non ripetere se non una lezione lungamente udita ed imparata), ma perchè egli prova una frenesia a formulare le sue domande ed a riceverne in risposta il mai più sempre atteso, ferita ripetuta e tanto più deliziosa, inquantochè essa è insopportabile.

Vedendo dunque questa facilità che mi era offerta, o, per meglio dire, che mi s’imponeva nel progresso della mia composizione, giunsi alla domanda finale, alla questione suprema, alla quale il mai più doveva servir di suprema risposta; questa domanda, cui il mai più fa la replica la più disperata, la più orrenda, la più dolorosa possibile.


IV.


Qui dunque potrei dire che il mio poema aveva trovato il suo principio — dalla fine, come dovrebbero cominciarsi tutte le opere d’arte ― imperocchè fu allora che presi per la prima volta la penna e scrissi la stanza che segue:


     O profeta, urlai, profeta, spettro o augel, profeta ognora!
          per il ciel sovra noi teso, per l’Iddio che noi s’adora,
          di’ a quest’anima se ancora, nel lontano Eden lassú,
          potrà unirsi a un’ombra cara che chiamavasi Lenora!
          a una Vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!
                                                                      Mormorò l’augel: Mai più!

Composi questa strofa, prima per stabilire il grado supremo dell’intonazione del poema e poter, a mio agio, variare e graduare, secondo la loro gravità e la