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Il Corvo




Una volta, a mezzanotte, mentre stanco e affaticato
     meditavo sovra un raro, strano codice obliato,
     e la testa grave e assorta — non reggevami più su,
     fui destato all’improvviso da un romore alla mia porta.
     Un viatore, un pellegrino, bussa, dissi, alla mia porta,
                               solo questo e nulla più!

Oh ricordo era il dicembre e il riflesso sonnolento
     dei tizzoni in agonia ricamava il pavimento.
     Triste avevo invan l’aurora — chiesto e invano una virtù
     a’ miei libri, per scordare la perduta mia Lenora,
     la raggiante, santa vergine che in ciel chiamano Lenora
                               e qui nome or non ha più!

E il severo, vago, morbido, ondeggiare dei velluti
     mi riempiva, penetrava di terrori sconosciuti!
     tanto infine che, a far corta — quell’angoscia, m’alzai su
     mormorando: è un pellegrino che ha battuto alla mia porta,
     un viatore o un pellegrino che ha battuto alla mia porta,
                               questo, e nulla, nulla più!

Calmo allor, cacciate alfine quelle immagini confuse,
     mossi un passo, e: «Signor» — dissi, o signora, mille scuse!
     ma vi giuro, tanto assorta — m’era l’anima e quassù
     tanto piano, tanto lieve voi bussaste alla mia porta,
     ch’io non sono ancor ben certo d’esser desto». Aprii la porta:
                               Un gran buio e nulla più!