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«Oh! bontà divina! dove va maì a finire il mondo!

«O tempora! O mores!»

Una satira così caustica e, nello stesso tempo, così classica, piombò come un obice nella città, sino allora sonnolenta, di Onopoli. Capannelli di persone agitate si formavano agli angoli delle vie. Tutti attendevano ansiosi la risposta del degno signor Smith.

Essa apparve il mattino dopo così concepita:

«Leggiamo nella Caffettiera delle famiglie le seguenti linee: Oh! sì! Oh! noi comprendiamo; Oh! certo; Oh dove va il mondo; Oh! Dio! Oh! bontà divina; O tempora, O mores! — Ma che cosa è? ma questo signore non è che una O? Ciò spiegherebbe, del resto, il perchè i suoi ragionamenti siano così tondi, e come i suoi scritti non abbiano nè principio nè fine, nè testa nè coda.

«E davvero noi crediamo che questo signore senza luogo e senza tetto, non possa far cosa che non sia farcita di O; chi sa? Egli viene dall’est! Chi sa? forse che non fosse laggiù debitore di qualche I seguito da tanti O quanti egli ne mette nelle sue frasi? Oh! quanto ci spiacerebbe!»

L’indignazione del signor Testaquadra nel leggere questa scandalosa elucubrazione fu tale che non saprei ridirla.

Più che gli attacchi alla sua onoratezza, lo fece uscir dai gangheri la canzonatura del suo stile. Ma come? lui Vaevieni Testaquadra, non era buono a produrre uno scritto che non fosse farcito d’O? Oh! saprebbe bene, e presto, mostrare a quel bam-