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patriottica città, prima d’entrarvi fece eseguire un breve alt, allo scopo di attendere e riunire le tardeggianti squadre.

Ma l’impressione che n’ebbe fu così dolorosa che non potè più oltre padroneggiarsi e rattenere una lagrima, che per ineffabile corruccio gli tremulo nella pupilla.

Però l’intrepidezza, il sangue freddo, la serena calma del fido Medici, uno de’ pochi luogotenenti che aveva saputo affezionarsi e mantenersi ai fianchi gran parte del battaglione Anzani, aggiunti alla valentìa del colonnello Marocchetti, altro suo aiutante d’America1, che aveva da pochi dì raggiunto, per seco lui dividere la dubbia sorte di que’ supremi momenti, lo affidarono a continuare per proprio conto la disperata lotta.

Passò quindi l’intiera giornata e la notte susseguente in Varese, sempre per ogni guisa festeggiato da quella italianissima fra le italiane città. Ma strategìa di più lunga conservazione di sè e de’ proprî compagni ad una perigliosa guerra venturiera, lo consigliò ad abbandonare quella posizione, dolente ed irato di dover passare la frontiera, prima di essersi misurato con quella canaglia di Austriaci2.

Varcato il confine, si recò a Castelletto, d’onde inviò il suo Medici a Lugano coll’incarico di raccogliere i giovani italiani colà emigrati.

Il solerte e beneviso ajutante fece il dì dopo ritorno al campo con circa 300 uomini; misero risultato in confronto del numero de’ vagabondi ed oziosi momentaneamente costretti ad esilio; ma abbondantissima messe in un campo nel quale la bufera della sfiducia aveva sfrondata e calpesta ogni lusinga di rivincita, ogni speranza di possibile riscossa.

In quel di appunto (11 agosto) perveniva a Garibaldi ordine dal Governo Subalpino, omai intimidito dalla pre-

  1. Pochi dei reduci da Montevideo con Garibaldi (forse perchè sulle prime, distratti dalla più che naturale compiacenza del rivedere i propri cari, dopo tanti anni d’esilio) seguirono il loro Generale in questa breve campagna. Molti di essi lo raggiunsero poi a Roma nel 1849, dove in gran parte s’immolarono nell’eroica difesa della proclamata Repubblica.
  2. Sono queste le testuali parole colle quali il Generale sfogò in quell’istante col colonnello Marocchetti il profondo rammarico che di lui s’impossessò all’atto di abbandonare Varese.