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CAPITOLO TERZO.
Intanto che Garibaldi assisteva dalle finestre del vicino albergo al lento raggranellarsi degli sbandati militi intorno all’ancor fiduciosa bandiera Italiana, dalla rioccupata Milano sorgiungevano a frotte, sospinti dall’indivisibile spettro, la paura, i Milanesi fuggiaschi, dipingenti a negri colori le delizie della effettuata occupazione della diletta città per parte del vecchio Maresciallo Radetzcki; annuncianti lo scorrazzare nei dintorni, l’incalzare alle spalle delle brigate, degli squadroni sulle peste dell’unica superstite colonna, atteggiata ancora a resistenza, a riscossa.
Non per questo il Generale volle deporre il pensiero di ulteriori tentativi a supremo conato.
Fatti distribuire ai volonterosi, che s’erano nuovamente presentati a riempire i ranghi, gli zaini ed i cappotti che da Merate erano stati trasportati a raggiungere la colonna, ordinò fossero collocati in batteria i suoi due cannoni, disponendo i soldati a tener testa a qualsiasi eventuale attacco.
Dalla vicina Svizzera poi spedì e diramò corrieri incontro agli altri Duci dei Corpi Volontari, del cui ritirarsi in Piemonte colle rispettive milizie eragli pervenuta contezza: invitandoli a riunirsi a lui, fidente ancora di riprendere l’offensiva, deliberato a non deporre ignominiosamente le armi.
Ma dei varî Condottieri, nè Durando, nè Tamberg, nè D’Apice, nè Manara, nè Griffini, chi già vinto dall’invaso scoraggiamento, chi cedendo a gelosia di supremo comando, chi per deposte speranze di possibile resistenza, nessuno ri-