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Sui primissimi albori, invitata dallo squillo delle trombe ad abbandonare l’ospitale borgata, sempre a mo’ di valanga ingrossando per via, salutata e festeggiata a metà cammino dalle generose oblazioni d’ogni genere del venerando e patriarcale ingegnere Albini, ricco possidente di Imbersago e dei dintorni, si diresse alla simpatica Bergamo, che arricchendola di altri suoi figli, utilizzò, per bene accasermarla, persino il disertato Seminario dei Chierici.
Nei pochi giorni di permanenza su quello stupendo colle, che è la città alta di Bergamo, l’infaticabile e sempre vigile Generale si recava ogni dì a visitare ed ispezionare le sparse brigate, a constatarne e a plaudirne le esercitazioni al maneggio dell’arme, scendendo e salendo, con quella tutta sua abituale sprezzatura d’ogni pericolo, le tortuose scalinate, a cavalcioni d’un destriero fantasticamente bardato alla foggia americana, ad imitazione dell’ammirato cavaliere.
Ma dal sembiante del supremo Duce trasparivano di giorno in giorno caratteristici segni di mente impensierita e di profonda preoccupazione.
In quel volto maschiamente leggiadro, quantunque abbronzito dalle battaglie, si sarebbe letto, insieme col rammarico del trovarsi lungi ed estraneo all’azione, in un momento in cui tanto incalzava il bisogno d’agire, l’indescrivibile angoscia di sapere l’amato suolo minacciato da nuova invasione dell’odiato straniero. Giacchè le notizie che mano mano pervenivano dal campo, dipingevano a nerissimi colori il rovescio sempre crescente delle armi regie, di fronte all’imbaldanzito nemico, il quale, debellata Treviso, soggiogata Padova, espugnata Vicenza e quasi totalmente sbarazzato d’assedianti il quadrilatero, ogni dì guadagnava terreno al ritorno sulle orme già peste nella svergognata fuga del marzo.
Infatti, dopo avere scompigliato e sconfitto l’esercito regio a Rivoli e a Sommacampagna, e rottagli così ogni base d’operazione: dopo averlo poscia buttato al di qua del Mincio, lo investiva sull’Oglio, minacciando già la linea dell’Adda.
Trascorsi in tal modo alcuni giorni di trepida ed angosciosa aspettativa, dal Comitato di Pubblica Difesa in Milano pervenne improvviso ordine a Garibaldi di retrocedere