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cortigiani, fece lieta accoglienza all’Eroe del Nuovo Mondo e, dimentico del passato, lo consigliò a restituirsi tosto alla Capitale Subalpina, onde prendervi in suo nome gli opportuni concerti sul modo più utile di impiegare una Legione di Volontari, che lo autorizzava a sollecitamente organizzare.

Giubilante per l’ottenuto incarico, rifece la via a Torino; ma riescitegli ancor vane le ripetute istanze, benchè convalidate dalla parola del Re, si rivolse al Governo Provvisorio di Lombardia, che, quantunque costituito esso pure in parte d’uomini peccanti di timidezza, spaventato forse dall’imminenza del pericolo, gli segnò il reale mandato.

Tutto questo pencolare causò all’impaziente Condottiero lo spreco di giorni preziosi, che avrebbero potuto tornare molto utili alla causa santa, per la quale egli aveva attraversato l’Atlantico ed abbandonato il suo Montevideo.

Scelta quindi la Capitale Lombarda a sua brevissima sede, la sera del 15 luglio dal balcone della Bella Venezia, importante albergo posto, come anche ai dì d’oggi, in Piazza San Fedele, al popolo stipato a festeggiarlo, vibrò col suo linguaggio incisivo e guerresco le seguenti parole:

«Cari Milanesi! Vi son grato delle vostre ovazioni: ma questo non è tempo da gridi e da ciarle; è tempo da fatti. Pur troppo lo sgherro nemico ha ripreso lena e coraggio. Noi dobbiamo sbarrargli la via al ritorno in queste belle contrade, da lui per mezzo secolo in ogni guisa contaminate. Teniamoci saldamente uniti, per poter fare da noi, senza intervento straniero. Mi raccomando alle lombarde donne perchè inanimino i loro cari figli, fratelli, mariti a e dar mano alle armi.

Noi ricacceremo il ladrone nelle sue selve, purchè vi dimostriate degni fratelli dei prodi caduti nelle vostre cinque gloriose giornate. Il valore dimostrato dai Milanesi in quella recente eroica lotta, mi è caparra delle sorti fortunate ch’io auguro alla patria nostra. Viva dunque Milano! Viva l’Indipendenza Italiana! e buona notte!»

Così dicendo si ritirò a riposo; quantunque replicatamente acclamato dalla folla entusiasta, sovreccitata da quelle frasi improntate di virile fermezza e di superstite latina virtù.

Il giorno susseguente fu per ordine del generale Garibaldi aperto, presso l’albergo Marino, registro d’arruolamento di