Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 8 — |
Il poter subito accorrere con cento de’ suoi compagni d’arme, quasi tutti stigmatizzati dalle cruenti vestigia del valore, ad offrire il proprio braccio alla madre perigliante, appena seppe dell’italica riscossa, fu per si tenero figlio il realizzarsi degli ardenti sogni, il premio alle durate vicissitudini guerresche, il coronamento dei più fervidi voti ripetutamente pronunciati nel corso del lungo e così fortunoso esiglio.
Ecco infatti con quai nobili parole il Corriere Mercantile di Genova ne annunciava il 29 Giugno l’arrivo: «in questo momento, ore 11 del mattino, il generale Giuseppe Garibaldi sta entrando nel porto, accompagnato da una parte della sua legione, a bordo del naviglio Bifronte armato in guerra con sei pezzi d’artiglieria, proveniente da Nizza, sua città natale, ove approdò, sono ora pochi giorni. La città si prepara ad accogliere questo suo prode concittadino con dimostrazioni di vera simpatia. Il popolo è impaziente di seguirlo: toccherà ora al Governo emulare e il popolo, assegnando al valoroso un posto degno di lui.»
Non appena però il Generale ebbe riabbracciati la già vedovata genitrice, i consanguinei e gli amici ch’egli rinvenne ancor viventi nelle due città marittime a lui fin dall’infanzia care a somiglianza di dilette sorelle, impaziente di indugi, anelante di misurarsi sugli italici campi già tanto insanguinati e spronato dall’uragano che vedeva addensarsi sul capo dell’amato paese, volò a Torino, a quell’epoca sede delle due Camere, ad offrire al Governo i propri servigi. Ma sospetto qual’era di repubblicanismo, per avere già gloriosamente pugnato a pro’ di repubblica in terra straniera (a Montevideo), il Governo piemontese, peccante un po’ di timidezza e di servilismo, con belle frasi respinse il predestinato a tanta apoteosi.
Benchè fremente di sdegno per simili tergiversazioni, avvezzo qual’era, non già a cedere, ma ad irritarsi degli ostacoli, sotto l’usbergo della sua indomita fermezza e del suo culto alla patria, coll’aspirazione febbrile a propugnarne l’indipendenza, volò il 2 luglio al quartiere generale posto allora a Roverbella e, presentatosi a Carlo Alberto, gli espose coll’accento della lealtà i suoi nobili propositi, i suoi patriottici intendimenti. Il magnanimo Re, più liberale de’ suoi