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capitolo ventesimoquinto. 81

timerdiane fummo ignari delle sue nuove posizioni. Verso quell’ora alfine si scorse, occupando le forti posizioni di Taquary.

Io sono certo che la sagace manovra del nemico non mancò di cagionare cordoglio nel nobile cuore del capo della Repubblica. Ma non v’era rimedio: egli avea perduto una splendida occasione di rovinare l’Impero e probabilmente assicurare il trionfo del suo paese.

Poco dopo ebbesi notizia che la cavalleria nemica passava il fiume Taquary, coadiuvata dalla squadra imperiale. Il nemico era dunque in ritirata, e bisognava attaccarlo in coda nel suo passaggio.

In ciò non titubò il nostro generale. Marciammo dunque risolutamente alla battaglia. La cavalleria nemica avea bensì passato il fiume, aiutata in quel passaggio da vari legni imperiali, ma la fanteria era rimasta tutta sulla sponda sinistra in forti posizioni, protetta da bastimenti da guerra e da un bosco di piante d’alto fusto, foltissimo. La seconda nostra brigata di fanteria, composta del terzo e del secondo battaglione, era destinata ad iniziare l’attacco. Essa caricò con tutta la bravura possibile, ma il numero dei nemici era soverchiamente superiore, ed i nostri coraggiosi militi, dopo d’aver fatto dei prodigi di valore, furono obbligati di ritirarsi sostenuti dalla prima brigata, composta del primo battaglione della marina e degli artiglieri senza cannoni. Tremendo fu quel combattimento di fanteria nel bosco, ove il frastuono delle fucilate e dei rami infranti, tra densissimo fumo, somigliava ad infernale tempesta. Non meno di cinquecento d’ambo i lati fu la perdita tra morti e feriti. I cadaveri dei valorosi Repubblicani furon trovati sino sulla sponda del fiume, ove avevano impetuosamente baionettate il nemico; ma per sventura senza risultato e senza profitto fu tanta prodezza, poiché, soperchiata la seconda brigata da forze molto superiori ed obbligata a ritirarsi, si sospese il conflitto. Giunta la notte, il nemico potè liberamente ultimare il suo passaggio sulla sponda destra del Taquary.