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432 | quarto periodo. |
sono certo che con un buon governo che volesse veramente occuparsi della prosperità e del progresso di quella buona ma poverissima popolazione, si potrebbe fare di essa una delle prime, ricca come è d’intelligenza e di coraggio.
Grande ed ubertosissima terra, un vero eden si farebbe della Sardegna, oggi un deserto ove la miseria, lo squallore, la malaria si leggono sulle caratteristiche fisonomie degli abitatori. Il governo che, per disgrazia di tutti, regge la penisola, appena sa se esiste una Sardegna, occupato com’è a preparare una schifosa reazione e ad impiegare i tesori dell’Italia a comprare spie, poliziotti, preti e simile canaglia, demoralizzando e rovinando V esercito, per compiere le voglie libidinose del Bonaparte, di cui non è che una miserabile prefettura (1867).
Il 17 ottobre 1867, alle due pomeridiane circa, io abbracciavo affettuosamente Canzio e Vigiani a bordo della paranza San Francesco. Essi avevano compiuto una difficilissima missione, affrontando disagi e perigli per liberarmi.
Alle tre pomeridiane dello stesso giorno si salpava con vento da scirocco mediocre; dopo una bordata, la paranza navigava fuori di Tavolara con prora a tramontana, quarta a greco.
Il 18, verso il meriggio, avvistammo Monte Cristo e nella stessa notte entrammo nello stretto di Piombino.
Il 19 albeggiò minaccioso con vento forte da ostro e libeccio e con pioggia. Tali circostanze favorirono il nostro approdo a Vada, tra il canale di Piombino e Livorno. Il resto del giorno 19 si passò in Vada aspettando la notte per sbarcare. Verso le sette pomeridiane sbarcammo sulla spiaggia algosa ad ostro di Vada, in cinque: Canzio, Vigiani, Basso, Maurizio ed io.
Vagammo per un pezzo a trovar la strada, essendo quella spiaggia assai paludosa; ma aiutato nei passi più difficili dai miei compagni potei giungere con loro nel villaggio di Vada, ove per fortuna Canzio e Vi-