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428 | quarto periodo. |
nata cogli assalitori di fuori, doveva finalmente rovesciare quel mostruoso potere del papato, posato come un canchero nel cuore dell’infelice nostro paese. Io non ero esattamente informato d’ogni cosa nella mia prigionia di Caprera, ma, da quanto avevo lasciato, ne conoscevo lo svolgimento; e poi dai giornali e dalla voce pubblica qualche cosa si udiva, e di certo sapevo che i miei figli ed i miei amici eran sulla terra romana, alle mani coi mercenari pretini.
Lascio pensare se io potevo rimanermi ozioso mentre quei miei cari, per istigazione mia, stavan pugnando per la liberazione di Roma, il bell’ideale di tutta la mia vita! Grande era la vigilanza di coloro che avean per missione di guardarmi, e molti i bastimenti e i mezzi di cui potevan disporre; ma maggiore era il mio desiderio di compiere il mio dovere, raggiungendo i coraggiosi che pugnavano per la libertà italiana.
Il 14 ottobre 1867 alle sei pomeridiane io abbandonavo casa mia, dirigendomi verso il mare a settentrione. Giunsi alla spiaggia e vi trovai il Beccaccino, piccolo legno comprato sull’Arno e capace di trasportare due sole persone.
Il Beccaccino trovavasi casualmente a pochi metri dalla spiaggia, e dalla parte di levante d’un piccolo magazzino che serve a metter le imbarcazioni al coperto. Nella stessa parte trovavasi una pianta di lentisco che copriva quasi intieramente il minuto schifo, dimodochè i miei regi guardiani non avean potuto scoprirlo.
Giovanni, un giovane sardo, custode della goletta, dono generoso dei miei amici inglesi, ancorata nel porto dello Stagnatello, stava sulla spiaggia aspettandomi. Col suo aiuto posi il Beccaccino in acqua e m’imbarcai. Egli partì col palischermo della goletta canterellando. Io costeggiai a sinistra la spiaggia della Caprera, facendo meno rumore d’un’anitra, ed uscii in mare per la punta dell’Arcaccio, ove Froscianti, altro mio fido, e Barberini, ingegnere di Caprera, avevano esplorato il terreno per timore di qualche imboscata.