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capitolo terzo. | 9 |
stanziaria, io propongo un giorno a certi coetanei compagni miei di fuggire a Genova, senza progetto determinato, ma in sostanza per tentare fortuna. Detto fatto, prendiamo un battello, imbarchiamo alcuni viveri, attrezzi da pesca, e voga verso Levante. Già eravamo all’altura di Monaco, quando un corsaro mandato dal mio buon padre ci raggiunse e ci ricondusse a casa mortificatissimi. Un abate avea svelato la nostra fuga. Vedete che combinazioni: un abate, l’embrione d’un prete, contribuiva forse a salvarmi, ed io son tanto ingrato da perseguire quei poveri preti. Comunque, un prete è un impostore, ed io mi devo al santo culto del vero.
I miei compagni d’impresa, di cui mi sovvengo, erano: Cesare Parodi, Raffaele Deandreis, e non ricordo gli altri.
Qui mi giova ricordare la gioventù nizzarda: svelta, forte, coraggiosa, elemento magnifico per disposizioni di genio sociale e militare, ma condotta disgraziatamente su perverso sentiero, prima dai preti, poi dalla depravazione importata dallo straniero, che ha fatto della bellissima Cimele dei Romani la sede cosmopolita d’ogni corruzione.
Capitolo III.
I miei primi viaggi.
Oh! come tutto è abbellito dalla giovinezza, ardente di lanciarsi nelle avventure dell’incognito! Com’eri bella, o Costanza!1 su cui dovevo solcare il Mediterraneo, quindi il Mar Nero, per la prima volta!
Gli ampi tuoi fianchi, la snella tua alberatura, la spaziosa tua tolda e sino al tuo pettoruto busto di donna rimarranno impressi sempre nella mia immaginazione.
Come dondolavansi graziosamente quei tuoi marini sanremesi, vero tipo de’ nostri intrepidi Liguri.
- ↑ Nome del primo bastimento con cui ho navigato.