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capitolo trentesimosecondo. | 115 |
Abbenchè non incontrassimo gente in quel punto, vi trovammo alcuni abbandonati cavalli, e con quelli i miei scapestrati militi non mancarono di riunire bentosto le sufficienti monture per il servizio di esplorazione; l’abbondanza di cavalli in quei paesi facilita molto tale operazione.
Eravamo pronti, e già si era in moto per la marcia, ma un ordine del generale Aguiar ci richiamava in San Francisco. Noi saremmo certamente rimasti vittime, trovandoci il nemico in piena campagna nell’Entre-Rios, giacchè il nostro esercito, rotto in quel giorno completamente, era introvabile, ed avremmo invece trovato ruina da cui difficilmente si sarebbe potuto scampare. Rimbarcammo dunque senza saperne il motivo e senza aver potuto ottener veruna notizia degli avvenimenti.
Giunti a San Francisco, ebbi dal colonnello Esteves un biglietto che principiava colle seguenti desolanti parole: «Il nostro esercito ha sofferto un contrasto.» Il generale Aguiar aveva marciato lungo la sponda sinistra dell’Uruguay per raccogliere fuggiaschi. A me si chiedeva rimanere in San Francisco, a proteggere il molto materiale ivi rimasto.
Nel periodo trascorso tra la battaglia dell’Arroyo Grande ed il principio dell’assedio di Montevideo, successe quella confusione, quel prendere, lasciare, riprendere di progetti che accade in simili circostanze, cioè dopo le grandi sconfitte. E fu veramente grande, intiera quasi, la catastrofe dell’esercito nostro, poichè per molto tempo non potè più raggranellarsi di esso nulla che somigliasse ad un corpo di truppa.
Quando si considera che l’esercito di Montevideo andava ad attaccare il più forte esercito che mai si fosse veduto nell’America meridionale, insuperbito da molte e recenti vittorie, e ad attaccarlo nella svantaggiosa posizione di trovarsi il grande fiume Uruguay alle spalle, si capisce come i frantumi del nostro esercito furono schiacciati o prigionieri.
Furonvi anche molte paure da parte nostra, delle