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110 | primo periodo. |
da quel punto essendo in sfasciume, oltre la mancanza d’acqua nel fiume, e la maggior parte dei cordami in pezzi. Il Fereira fu un momento oggetto d’investigazione per conoscere se sarebbe atto a mettere alla vela, ma fu riconosciuto incapacissimo. La sola goletta Procida potè salvarsi con parte dei feriti e qualche materiale.
Conveniva quindi limitarsi a salvare le reliquie del personale e incendiare la flottiglia. A tal uopo ordinai si sbarcasse il resto de’ feriti in alcune piccole rimanenti barche, con le armi minute, le munizioni ed i viveri che capir potevano in quelle. Intanto continuava il combattimento, abbenchè affievolito di molto per parte nostra, e più gagliardo assai dalla parte contraria, e preparavansi pure nello stesso tempo i fuochi ed i conduttori per l’incendio dei legni.
Qui mi convien narrare un episodio ben desolante, cagionato dall’eccesso delle bevande spiritose. Negli equipaggi da me comandati vi era gente d’ogni nazionalità. Gli stranieri eran per la maggior parte marini e quasi tutti disertori da bastimenti da guerra, e questi, devo confessarlo, erano i meno discoli. Circa agli Americani tutti quanti quasi erano stati cacciati dall’esercito di terra per misfatti e massime per omicidii. Dimodochè essi erano veri cavalli sfrenati, e vi voleva tutto il rigore di cui era capace un legno da guerra per mantenerli all’ordine. Solo in un giorno di pugna tutto codesto miscuglio di gente era disciplinata, e si battevano come leoni. Ora per fare l’incendio più efficace eransi riuniti nella stiva mucchi di oggetti combustibili, e su di questi spargevansi una quantità di botti di acquavite che avean fatto parte delle provviste. Ma sventuratamente quelli uomini, assuefatti a vivere con una piccola razione spiritosa, trovandosi con un’abbondanza spropositata di tali spiriti, se ne ubbriacarono in modo da essere impossibilitati a moversi.
Fu quello uno spettacolo ben doloroso: trovarsi nell’imperiosa necessità di dover abbandonare dei prodi