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giate, alcune carrozze con dentro il bellissimo sesso della stupenda capitale. Non numeroso però, abbenchè le donne, colla loro educazione presente, non si curin quanto dovrebbero delle miserie ed umiliazioni della patria: v’era nell’atmosfera naturale e politica qualche cosa che inaridiva ogni voglia di divertimento.

Era scirocco? Credo non fosse. Col scirocco, le popolazioni meridionali agiate chiudonsi soventi dentro casa — trovando insopportabile l’afa che si respira al di fuori. — Il bracciante la trova meno insopportabile della fame, e lavora anche spossato dal soffocante scirocco.

Il sole del 26 maggio era al tramonto e tra le poche carrozze che circolavano sulla deliziosa sponda del Mediterraneo una se ne scorgeva che all’occhio indagatore presentava un aspetto diverso dalle altre.

Perchè coperto quel veicolo? perchè vuoto? — poiché ben difficile scoprire in quel fondo oscuro un coso a sembianza umana, che dico? a sembianza d’un demonio!

Quella carrozza coperta aggiravasi come le scoperte, occupata da gente più o meno oziosa e che in quella sera, più per consuetudine che per gusto, faceva il solito andirivieni.

L’occupante però di quella — come il gufo — nascondevasi dalla luce, ed aspettava le tenebre, per attuare i suoi divisamenti sinistri.

E ne avea ben donde Monsignor Corvo — il più astuto e scellerato dei gesuiti — di nascondersi all’umano sguardo. Se, come m’è successo