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capitolo lxiv 397


fanelli — senza petrolio, come vedremo presto — aveva fatto ragione d’ogni parto di certi famosi legislatori che hanno fatto del mondo una Babele.

La giustizia era da lui amministrata sulla piazza pubblica, e con tempi piovosi, nel maggiore dei templi del mondo, non più consacrato all’idolatria ed alla menzogna, ma ai capilavori dell’arte, ed agli uomini grandi e valorosi, che avevano illustrato l’Italia e sparso il loro sangue per essa.

Egli aveva un solo segretario, e li vidi io stesso ambedue mangiare un pezzo di pane e formaggio, per non lasciar la cattedra, in cui si conformavano di stare anche l’intiero giorno, se occorreva. — Tutto il loro lusso era un bicchiere di vino buono all’ora del pasto, ed acqua nel corrente della giornata.

Una centuria di militi cittadini serviva per fare ubbidire le deliberazioni del savio, giacchè non c’era più in Italia di gente armata, se non che circa due milioni di cittadini che supplivano a qualunque specie di servizio, e le di cui occupazioni diurne erano le officine e l’agricoltura, quando la patria non abbisognava di loro.

Tutta la sequela dei legislatori era stata inviata ad occuparsi di cose utili, e gli sgherri ed i preti, grandi e piccoli, a bonificare le paludi Pontine.

Accanto alle ceneri del nido di vipere e dei rottami ardenti vi si vedeva un altro incendio di cartaccie, a cui i bimbi avevano appiccato il fuoco, e con delle lunghe canne, gli stessi attendevano