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patimenti, contemplavansi reciprocamente, senza articolar parola. Marzia poteva veder la compagna senza muoversi, perchè ferita nell’omero sinistro, essa appoggiavasi, per soffrir meno, sul destro. Non così Virginia che, per vedere la sua Marzia, doveva faticare cogli occhi soverchiamente inclinandoli, poichè ferita nel bel mezzo del petto, era obbligata di stare supina, coll’ingiunzione d’immobilità assoluta, posizione necessaria nelle ferite gravi, e raccomandata dai chirurghi: terribile però, per chi deve soggiacervi molti mesi. Essa la vedeva meglio, quando sollevata alquanto colla testa per bere. — E beavasi, poverina, nella contemplazione di lei che le stava di fronte.

In una circostanza, in cui medicavasi la ferita di Marzia, e si dovevano scoprirle le spalle, un ahi! dolentissimo sgorgò dalle fauci della contessa, la quale svenne, e per un pezzo si credette passata all’altra vita. Marzia ne fu disperata, e molto lottarono Lina e le signore che gentilmente l’assistevano, poichè a tutta forza essa voleva scendere da letto per soccorrere Virginia.

All’oblivione si è condannati, quando si è vecchi! e noi per un pezzo andammo avanti, dimenticando Elia, il padre di Marzia, il torturato del Santo Ufficio!

Dacchè egli aveva raggiunto i trecento alla partenza da Roma, la sua esistenza era stata macchinale al punto d’esser tenuto in generale per demente. La sola vista della graziosa sua figlia,