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sognava. In Isernia però erano state obbligate di cedere i loro cavalli per l’inesorabile bisogno di mangiare e di avere del brodo.

A piedi o a cavallo, noi già conosciamo l’intrepidezza delle giovani eroine, avanzi di venti combattimenti, e la romana Virginia, forse più per disprezzo della vita, ma anche perchè dotata di natural coraggio, seguiva valorosamente l’esempio delle compagne, quantunque meno adeguata alle fatiche ed ai perigli della vita dei campi di battaglia.

Esse avevano affrontato il pericolo con ilarità sino a questo giorno, dimenticando le due romane anche la consueta malinconia. Ma oggi (credo 28 ottobre 1860) certo presentimento, che si guardavano di manifestarsi reciprocamente, annuvolava i loro volti raffaelleschi.

In un momento d’alto, Lina che non poteva stare nella pelle, scostossi un poco a destra, salendo su di una piccola eminenza. Essa gettò lo sguardo, acuto e penetrante come quello dell’aquila, verso le maestose cime del Matese; ne contemplava la scoscesa catena adorna di piante secolari di quercie e di castagni, formando boschi foltissimi in alcuni punti; e mentre divagava la vista nell’imponente spettacolo, essa ad un tratto, rivolta alle compagne, esclamò:

«Vedete! vedete!» segnando ad un punto non lontano al di là del Volturno.

«Ma noi nulla scorgiamo» rispose Marzia incamminandosi al punto ove trovavasi l’amica.

«Non vedete quanta gente si aggira dietro a