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capitolo lvi 329


Benchè molto più numerosi i soldati dei preti, non sostennero a lungo la mischia coi figli della libertà, ed incalzati a baionettate nelle reni, essi fuggirono verso la città, che sgombrarono immediatamente all’arrivo dei nostri.

Alla folla dei fuggenti sanfedisti seguì altra folla — spettacolo veramente miserando — di fanciulli, donne e preti coperti di stole portando il Santissimo — come lo chiamano gl’impostori — implorando ed impetrando — lordi di sacrilegio — il concorso dell’Onnipossente all’esterminio degli eretici, nemici del re e della santa religione (la pancia di quei mostri).

Avevan però mancato all’appello le legioni di angioli che i preti promettevano agl’imbecilli e che dovevano cacciare come nube al vento gli eserciti maledetti. E qui ci facevan l’onore d’immedesimarci coll’esercito condotto contro di noi da Farini.

Non giungendo le legioni d’angeli e fuggendo, a rompersi il collo, quelle dei cafoni, i nostri rimasero padroni assoluti di Sora, ove prima cura fu quella dei feriti e poi quella di seppellire i morti. In Sora poterono i liberi rifocillarsi dovutamente e provvedersi di viveri e di munizioni per continuare il faticoso viaggio, non essendo prudente di soggiornare molto tempo in un paese ove da un momento all’altro essi, potevano essere assaliti da forze molto superiori.

Comunque, essi furono obbligati di rimanere due giorni essendovi dei feriti gravemente, come