Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
capitolo xliv | 251 |
e dormire di giorno, per poter circolare poi tutta la notte.
«Devi dunque sapere, che il nostro esercito, forte di cinquantamila uomini, dopo d’aver debellato gli scomunicati a Caiazzo, padrone di Capua, e di tutta la sponda destra del Volturno, si dispone ad attaccare quei pochi miserabili che restano da questa parte.
«Il re in persona sai, comanda l’esercito nostro, e con lui vi sono tutti i principi, la casa reale, ed i più famigerati de’ nostri generali».
Tifone, che come prete, non era poi tanto stupido, rimase soddisfatto dei cinquantamila soldati, piuttosto di buona truppa, non così dei famigerati generali, dei principi, della casa reale, ecc., tutta gente più assuefatta all’espugnazione d’un paté trufé, che a quella dei nemici della monarchia.
«La vittoria è quindi sicura» continuò Fior di Bacco, «ma noi, capisci bene, non vogliamo starcene colle mani alla cintola, mentre pugnano per la salvezza della patria tanti nostri valorosi!».
Questo discorso di Fior di Bacco — eccitato dal cordiale con cui egli avea inaffiato la sua merenda con profusione — era pronunciato con tanta energia, come se fosse stato un bullo davvero. — E colla testa alta, quadrando le poderose spalle, sguainò a metà la terribile scimitarra, con cui si compiaceva di spaventare i sorci della sua stanza, anch’essi dilettanti delle for-