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capitolo xliv 247


Farei un volume di queste prodezze de’ preposti, se non mi annoiassero, e se non temessi di annoiare chi ha la pazienza di leggermi.

Ne terminerò la serie con un’arnia modello, regalo d’un illustre professore. Credete voi, che per esplorare il gran contrabbando, contenuto nell’arnia, di cui tutte le parti erano connesse a vite, abbiano voluto, quei comodi signori, servirsi d’un giravite per non guastarla? — Oibò! con uno scalpello han fatto a pezzi il coperchio per farlo saltare, o forse con una mannaia.

In quindici anni ch’io sono in quest’isola, io non conosco un solo arresto di contrabbando importante fatto da questi finanzieri; anzi, corre voce che un po’ di contrabbando lo faccian essi stessi, e si dice di peggio ancora.

E quando si considera tanta povera gente, sottoposta a tasse d’ogni specie, per mantenere grassamente codeste camorre di fannulloni, è roba da dar i brividi.

I Borboni di Napoli, maestri anch’essi di ogni specie di camorra, ne proteggevano una, e la stimolavano al loro servizio con ogni specie di favori, concessioni e soldi. Camorra, veramente di genere particolare, che contava come membri i più grandi scellerati del regno.

L’origine di quest’associazione di malfattori, proveniva dalle prigioni. I più forti tra i prigionieri imponevano una tassa ai nuovi arrivati, e la imponevano colla minaccia di busse, e qualche volta anche di coltello.