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capitolo xli | 219 |
Ma eran cambiati i bei tempi degl’Inquisitori; ed in Italia a dispetto dei retrogradi che proteggono per conto proprio i chercuti, già potevasi chiamare un birbante ed un impostore con il proprio nome. L’opinione della gente onesta cominciava a plaudire ai coraggiosi, che innalzandosi al disopra dei pregiudizi del passato, calpestavano con fronte alta il vecchio e putrido diritto divino, poggiato sull’altare della negromanzia. E quantunque sette anni dopo si trovasse ancora un disprezzevole tiranno della Senna, capace d’inviare in Italia i suoi sgherri, e sostenere la baracca pretina, la forza degli avvenimenti rovesciava nella polve il triregno, e trascinava il concime nella cloaca.
Una lanterna sorda come per incanto illuminò lo speco, ove immobili e silenziosi stavano i prodi campioni della libertà italiana. Essi portavano tutti la destra sul cuore, cenno di ricognizione, e di devozione illimitata alla loro patria infelice. Spettacolo sublime che i grandi artisti odierni potrebbero ben distendere sulla tela, incidere sul marmo e sul bronzo, per rimpiazzare certe mitre buffonesche ed immorali che disdorano il grandissimo tempio.
«Fratelli!» vibrava la maschia e melodiosa voce di Muzio: «Roma seguirà l’esempio dei nostri valorosi delle province, che sacrati alla liberazione degli schiavi, stanno compiendo una di quelle imprese che costituiscono il carattere d’una nazione insoffrente d’oltraggi, che impri-