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contemplarli in una catacomba pronti ad affrontare il demonio sotto la schifosa assisa d’un birro o d’un prete. Armati di un solo ferro a guisa di quella daga con cui gli antichi militi della Repubblica entravano tra le formidabili file delle falangi di Perseo, tra i torriti elefanti di Pirro, ed aprivano il petto ai conquistatori dell’Asia. — Con quelle daghe con cui abbattevano ai loro piedi tutte le autocrazie del mondo conosciuto, non col cannone Krupp, o con mitragliatrici, ma col ferro, e a petto a petto.

L’Arco di Settimio Severo, una delle più severe ed importanti ruine che adornano il Foro Romano, copriva una catacomba, ed in quella conferivano i trecento prodi, e congiuravano per la liberazione della patria, in una sera di settembre del 1860. — Giovani tutti, ma di austero sembiante, come sono in generale i discendenti del gran popolo che non han degenerato e che poterono sottrarsi al contatto pestilenziale degli scarafaggi; i romani venendo da diverse direzioni, concentravansi tutti, favoriti dalle tenebre, per diversi anditi nel sotterraneo. Appena il respiro d’alcuni venuti da lontano, udivasi in quel consesso di giovani sacrati alla morte per la più santa delle cause. Sacrati alla morte! Ed i tiranni di Roma lo sapevano, ed impazzivano di rabbia di non poter distruggere fino alle radici quella pianta di generosi, da loro chiamati con nomi orrendi, come solo possono trovarsi sul vocabolario de’ preti.