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capitolo xl 213


se non che dopo d’essersi seduta padrona sul trono del Vaticano, come fece a Parma, Modena, Firenze, Milano e Napoli. Comunque, l’impudente suo ardimento mai giungerà a distruggere la Chiesa, che ad essa conviene, né il potere spirituale del santo Padre. — Non così i nostri nemici interni, essi non si contenteranno di distruggere una cosa e l’altra, ma getteranno le loro mani sacrileghe sui sacerdoti di Dio, e sul santissimo di lui rappresentante sulla terra, rovesciando nella polve e nel sangue dei fedeli ogni cosa sacra esistente in Roma! — Roma Capitale d’Italia! — Essi si senton piccini quei miserabili Macchiavelli della Dora a tanta grandezza. — Il peggio si è, che oggi non son più padroni di loro stessi, e sono obbligati di ubbidire a chi più di loro vale, benché sempre stupida, sempre ingannata, la nazione, ch’essi taglieggiano, come fanno di noi, e come noi, sono in obbligo di adulare rubando».

Un momento di silenzio seguì la mordente favella del Corvo, e tutti sembraron meditare sulla veracità delle sue asserzioni, e sulla delicata e pericolosa posizione della bottega.

Incoraggito dal silenzio dei compagni, così proseguì il gesuita:

«Osteggiati barbaramente al di fuori da chi si manifesta pubblicamente servo della santa Sede, noi stiamo su d’un vulcano nell’interno di Roma. — La setta dei perduti, profittando delle sventure del nostro esercito, e dell’entusiasmo suscitato in