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capitolo xxxix 199


nella via di perdizione dal gesuita Corvo. — Bella, spiritosa, piena di nobili sensi; da giovinetta essa era una delle più splendide e preziose fra le bellissime figlie di Roma, e perciò condannata nella corruttissima metropoli alle brame disoneste dei porporati.

Da quel giorno la venustà della contessa appassiva come il fiore sullo stelo al soffio malefico dello scirocco.

Era ancor bella nei tempi da noi descritti, e felice il mortale che n’era beato d’un sorriso, ma le sue guance eran pallide, le una volta folgoranti sue luci eran languide, ed ogni atto della vezzosa persona, portava l’impronta del tedio, e segnava le tempeste della travagliata anima sua.

Amore! quell’amore celeste che innalza la creatura al disopra delle sozzure umane, che la spinge all’eroismo, che la santifica! essa lo presentiva, ma il serpe che l’avea tentata, sedotta, trascinata nel fango, l’avea bensì ingolfata nella lussuria di godimento brutale, ma il chercuto non era stato capace d’infondere la celeste scintilla. E come l’avrebbe potuto un prete? Un prete, la di cui esistenza s’inizia colla menzogna, segue con essa irrevocabilmente e col delitto, e termina finalmente col sacrilegio!

Povera giovine! inaridita nell’alba della sua vita ogni fonte della poesia, dell’ideale umano, l’essere avea perduto ogni dolcezza per lei, e le diventava ognor più insopportabile! Di natura