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capitolo xxxvii | 189 |
Eppure il plauso ed il contegno di quel grande popolo valsero nel 7 settembre 1860 a mantenere innocuo un esercito numeroso che trovavasi ancora padrone dei forti e delle migliori posizioni della città, di dove avrebbe potuto distruggerlo.
Il Dittatore facea la sua entrata in Napoli, mentre tutto l’esercito meridionale malgrado le marcie forzate, trovavasi ancora ben distante verso lo stretto di Messina, ed il re di Napoli nella notte dal 5 al 6 abbandonava il suo seggio per ritirarsi a Capua. Il nido monarchico ancor caldo venne occupato dagli emancipatori popolani, ed i ricchi tappeti delle reggie furon calpestati dal rozzo calzare del proletario. Esempi questi che dovrebbero servire a qualche cosa, almeno al miglioramento della condizione umana; ma che non servono per l’albagia e la cocciutaggine degli uomini del privilegio, che non si correggono nemmeno quanto il leone popolare spinto alla disperazione, li sbrana con ira selvaggia, ma giusta, esterminatrice!
I Napoletani come i Siciliani, non secondi a nessun popolo per intelligenza e coraggio individuale, furon quasi sempre mal governati, e sventuratamente molte volte con sul collo dei governi stranieri, che solo cercavano di scorticarli e mantenerli nell’ignoranza.
Ai pessimi governi devesi quindi attribuire il poco progresso in ogni ramo di incivilimento e di prosperità nazionale.
E questo governo sedicente riparatore, fa egli