Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
186 | i mille |
del dispotismo, è una gran bella cosa! — La campagna è cospersa di membra; le zolle sono vermiglie di sangue, le grida dei feriti ed il rantolo dei morenti vi assorda. — I cadaveri insepolti, o coperti da strato insufficiente, appestano l’aria, ed il morbo uccide popolazioni intiere. — Meglio sarebbe un banchetto fratellevole. — Ma chi la corregge questa stirpe di Caino? — Non ha dessa i suoi culti alle sue divinità schifose più o meno, dalla cipolla al vitello? — le sue maestà, i suoi principi, il suo patriottismo che equivale all’egoismo massimo, le sue glorie, l’onore della sua bandiera? — e tante altre miserie fittizie oltre alle naturali? — Ma pera il mondo! siam beati della vittoria!
Usciamo da quest’altro letamaio umano, un po’ meno puzzolente di quello dei preti, ma pur sempre letamaio!
L’esercito meridionale procedeva verso la Partenopea Metropoli, sulle ali della vittoria.
I centomila soldati agguerriti del Borbone non osavan più tener fermo al cospetto degli imberbi avventurieri, capitanati dai superbi Mille Argonauti e fuggivano e le lor masse scioglievansi davanti alle giovani schiere dei liberi, come la nebbia davanti al sole.
Nella nostra storia noi eravamo rimasti sulle alture di Villa S. Giovanni, dopo la resa d’una divisione borbonica che ci lasciò molto materiale da guerra, cannoni, fucili, munizioni, cavalli, ecc.; lo stesso successe a Soveria con altra divisione.