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154 | i mille |
Ma che importa di soffocazioni, di calori, di febbri? Oggi i chercuti danno una solennissima festa ed il popolo degenerato che cresce sulle ruine del più grande dei popoli, non abbisogna di dignità, di decoro, di libertà, ma di feste, e colle feste ed una scodella di brodo si contentano i discendenti dei Manli e dei Scipioni.
Un giorno questo popolo si affollò dietro al carro trionfatore trascinato dai re della terra quindi negli anfiteatri a contemplar le sanguinose giostre dei gladiatori, e gli urli de’ suoi schiavi morenti, lacerate le loro carni dal leone o dalla pantera. Poi discese ancora più nell’imo delle sue cloache, barattò per pane e giuochi la sua libertà e dignità. Infine non contento ancora della sua abbiezione, e delle brutture imperiali, egli curvossi, si genuflesse, s’accovacciò ai piedi della più lurida, più umiliante e più sfrenata delle tirannidi — quella del prete — dell’impostore — del corruttore per eccellenza della razza umana. — E lì sen giace ancora, pronto al primo squillo di campana, a correre, prostrarsi e baciar la pantofola d’un idolo di fango.
I preti scorgevansi nel vasto peristilio del tempio; ne uscivan di tanto in tanto per respirare più liberamente, per mostrare al volgo ed alle bigotte i loro abiti sacerdotali di gala; e tergevansi con bianchi lini la fronte, sudante per le fatiche — poveri preti! — e sorridevano alle innamorate ammiratrici — e scotevano graziosamente i candidi piviali, e le inanellate chiome.