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su dalla melma ove li condannarono la dappocaggine e sovente il vizio; vengon su, dico, a forza di cabale e di favoritismo, e si siedono sfacciatamente tra i legislatori d’una nazione, coll’unico interesse individuale e disposti sempre a sancire ogni ingiustizia monarchica, coonestando così gli atti infami di governi perversi che senza quella ciurma di parassiti avrebbero responsabilità dei loro atti, mentre con parlamenti servili essi sono dispotici, e compariscono o si millantano onesti.

Questi cinquecento, fra cui vi è sempre qualche buono, disgraziatamente si usano come governanti nelle monarchie non solo — governi imposti — ma pure nei paesi ove la caduta delle monarchie, come in Ispagna e in Francia, ha lasciato le nazioni padrone di loro stesse. La vecchia abitudine dei comitati, delle commissioni e dei parlamenti getta negli anzidetti casi di nazioni padrone di loro stesse una turba d’aspiranti alla direzione della cosa pubblica, che sventuratamente riescono sempre con una minoranza buona o mediocre, ma con maggioranza pessima, e quindi annientato il po’ di buono che vi si trova.

E perchè non scegliere un onesto solo per capitanare la nazione e con voto diretto? Non è più facile trovarne uno che cinquecento?

Il maggiore dei popoli della terra, il Romano, chiamò quell’uno Dittatore. — Chiamatelo voi come diavolo volete. Insignitelo del supremo potere per due mesi, per due anni, se meglio vi pare. Non successori nella stessa famiglia, non