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capitolo xviii 87


berati, ma quelle poche bastavano per intendersi, e formando un gruppo compatto, precipitaronsi sui difensori del cancello, li assaltarono alle spalle, li disarmarono, ed aprirono al residuo dei compagni di fuori.

Era veramente molto piccolo il residuo dei nostri prodi assalitori. Comunque, non essendo gravemente ferito, Cozzo, ed alcuni dei rimasti, al grido di: Viva l’Italia! che partiva dai liberatori capitanati dalle nostre eroine, si precipitarono sul cancello, riunironsi ai nostri, e tutti insieme, lanciaronsi nell’interno, sulla guarnigione, la quale, benché numerosa, fuggiva spaventata in tutte le direzioni.

I liberati in quel trambusto eran pervenuti ad armarsi tutti — chi con armi da fuoco, chi con sciabole, e chi con altre armi tolte ai caduti ed ai fuggenti — e la partita diventava assai sfavorevole ai Borbonici, già disposti di abbandonare il forte, e gettarsi in mare, cercando la protezione della flotta.

Il sinistro genio d’Italia vegliava però sulla sorte della tirannide, e le conservò con le sue malizie per pochi giorni ancora, quel baluardo importante che, perduto il giorno 27 maggio, avrebbe sommamente servito all’impresa dei Mille su Palermo.

Il lettore ricorderà d’aver lasciato il gesuita rovesciato, ed in deplorevole condizione, nella cella di Marzia. Per la sventura del mondo, questa razza di vipere ha la pelle dura, e fattosi rico-