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capitolo xvii | 81 |
avrebbe accompagnati a Roma, la liberazione del genitore era possibile. Ma ora, rinchiusa in questa malefica bolgia, ove pochi giorni avrebbero bastato a distruggerla!
«Dio mio! che m’importa morire! non son io capace di affrontar la morte le mille volte come a Calatafimi! — La morte! — cos’è la morte? Ma la tortura! Dio mio! il mio povero padre sì amoroso, sì buono! alla tortura! colle sue carni strappate! la veneranda sua chioma insozzata, aggrumata da mortale sudore, e da sangue! in patimenti indescrivibili!»
Povera giovane! — tale era il soliloquio che ti straziava. — Ed il tuo tentatore?
Eppure avea delle belle forme, quel mostro — quel parto dell’inferno! — Il tuo tentatore? come se avesse tenuto la mano sul tuo cuore, egli ne contava le pulsazioni egli, come nel giorno in cui ti prostituiva il corpo, non disperava a forza di diabolica pertinacia, di prostituirti l’anima!
Piangi — singhiozza — struggiti — che importa a gente di tal tempra! Tu commoverai le iene, ma costui! non rinnegò egli i sensi più squisiti della natura — ogni affetto di figlio, di padre, di congiunto? — Costui, che vedrà con sangue freddo distruggere dalle fiamme un’infelice creatura, chi deve sperare di vederlo intenerirsi, commuoversi alla tua disperazione?
Maledetti coloro che non ripugnano di vivere su questa terra venduta! nel consorzio di questi corruttori, barattieri di popolo! Maledetto chi