Pagina:Garibaldi - Clelia.djvu/407


il racconto. 391


«Il pianto innondava ancora il bel volto della mia diletta — a queste ultime parole... ed io vi assicuro Capitano che mi corse per istinto la mano sul ferro — e divenni sitibondo del sangue della megera. — Non so come mi trattenni — ero furibondo — avrei stritolato le ossa di quella schifosa creatura — come una foglia d’autunno — e nol feci — e fu bene — perchè senz’essa avrei avuto immense difficoltà — a rivedere la luce del cielo. —

Ov’è la seconda porta di cui avete parlato? — dissi alla vecchia — e dove conduce?

«Conduce fuori del convento, e ve la mostrerò — se scostate il letto di ferro che giace in quel canto. — Scostai il letto — ben pesante — e nulla vidi. —

«Provate a levare i mattoni — che si vedono commessi con materiale non secco. — Dato mano ad una spranga di ferro del letto — cominciai a smuovere il pavimento — staccarne i mattoni e metterli da parte. Alla fine — un anello conficcato nel legno — mi diede indizio di una porta orizzontale da sollevarsi — e con mio stupore — scopersi una nuova scalinata che conduceva a basso. —