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decreto di morte. 337


«imparerai se per caso non la conosci — sta attento:

«Un giorno i nostri padri, stanchi delle prepotenze del primo re di Roma — che fra le altre amabili imprese, aveva ucciso con un pugno il fratello Remo — perchè si divertiva per scherzo a saltare il fosso di cinta fatto da Romolo — i nostri padri dico, in un senato consulto decisero di sbarazzarsi del loro re, un po’ troppo manesco e con disposizioni un po’ troppo dispotiche. — Detto fatto! gli saltano addosso colle daghe sguainate — e Romolo, benchè valorosissimo — dovette cadere sotto i loro colpi. L’affare era fatto — ma al popolo romano alquanto innamorato del suo re guerriero — per non avere de’ guai, bisognava contare qualche fandonia su quella morte — e l’avviso d’un vecchio senatore prevalse su quello degli altri sul da farsi. —

«Noi conteremo al popolo» disse il vecchio: «che Marte padre di Romolo disceso tra noi, dopo averci rimproverato d’essere un po’ troppo ladri e quindi indegni d’aver a capo il figlio di un Dio — se l’ha preso seco e trasportato in cielo. —

«E cosa faremo del corpo» soggiunsero più voci di senatori?