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roma in venezia. 327


spetto delle tre romane — dico: tre romane — poichè Giulia, che avea sposato il suo Muzio — benchè figlia affettuosa della sua bella patria — vantavasi e si compiaceva dell’adottiva sua terra chiamandosi ella pure romana.

Irene la più attempatela delle tre — conservava ancora tanta freschezza da nascondere sotto il maestosissimo portamento — gli anni che aveva di più delle compagne. La sua bellezza era tale da poter servire di modello all’artista cui piacesse ricordarci le antiche e severe matrone della Roma dei Cincinnati.

Il matrimonio nulla avea tolto alle bellissime più giovani compagne — e le tre, formavano un ornamento tale nel veneto salone — da tenere — come dissi — quella gioventù sospesa in ammirazione.

Accanto a Clelia stava Manlio — e la buona Silvia — con lui — talchè delle nostre donne mancava sola l’Aurelia. Gettata in una vita romanzesca e di avventure che mai non avea sognato — quest’ultima finì con l’avvinghiarsi al buon capitano Thompson — come l’ellera alla quercia. — Benchè un pochino repugnante da quelle certe tempeste — il cui saggio tanto l’avea malconcia — pure col suo caro leone di mare a lato — i marosi le sembravano assai meno spaventevoli.