Pagina:Garibaldi - Clelia.djvu/338


CAPITOLO LIV.

ROMA IN VENEZIA.

Eran le undici della notte — le gondole ingombravano i canali di Venezia — e la piazza S. Marco, illuminata a giorno, era sì affollata di gente, da non potersi distinguere un palmo solo del suo lastricato. — Dal balcone del palazzo Zecchin, parte dell’antica Procuratia che limita la piazza a tramontana — il solitario aveva salutato il popolo — e quel saluto — al popolo redento — alla grande mendica — all’antico baluardo della civiltà europea — alla venduta di Campoformio — era corrisposto freneticamente dalla moltitudine esultante e commossa.

Ed anche il solitario era commosso — e tra sè pensava: «i solchi che il despotismo lascia impressi sul volto umano, — anche qui possono distinguersi. — Gli antichi dominatori del mondo furon trasformati dallo straniero e dal prete mago, la cui verga tuffata nella melma d’inferno, — è solo atta a