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L’emissione della luce.

Prof. ANTONIO GARBASSO.

1) Come il problema della struttura degli atomi materiali, anche quello del meccanismo dell’emissione luminosa è nato dallo studio delle scariche nei tubi a gas rarefatti, ed ha trovato il maggiore sussidio nello spettroscopio, e, in generale, nei metodi della spettroscopia.

Ancora nel 1897, Wiedemann e Schmidt si domandavano se il processo della scarica fosse paragonabile a quello dell’elettrolisi, e al quesito davano una risposta negativa.

Wiedemann e Schmidt studiarono in particolare il comportamento dell’acido cloridrico. Nell’apparecchio, che servì alle loro esperienze1, il gas, uscendo da una bottiglia dove si è sviluppato, attraversa un tubo con sostanze essicanti e poi un capillare, che ha per ufficio di rendere più lento l’efflusso. Giunge così al punto dove passano le scariche. Ora dalle due parti, presso gli elettrodi, i prodotti di decomposizione sono trascinati da un aspiratore e passano in certe campanelle, contenenti del mercurio, sul quale il cloro si viene a fissare.

I risultati ottenuti con questa disposizione non si accordano bene con la legge fondamentale del Faraday.

Il circuito conteneva un voltametro a nitrato d’argento, che gli autori impiegarono come coulomb-metro; la tabellina seguente fornisce i dettagli di un’esperienza.

In essa è la quantità dell’argento depositato nel voltametro; la quantità del cloro che, secondo la teoria, dovrebbe deporsi all’anodo; e le quantità realmente ottenute all’anodo e al catodo. Da ultimo si è posto , .

Dai quali risultati si deduce che il cloro si deposita così ad un polo come all’altro, e che la quantità totale separata è inferiore a quella che la teoria prevede. Propriamente si depone in complesso la metà circa di ciò che si dovrebbe raccogliere al solo catodo.

2) Osservavo, dieci anni or sono, che, se il risultato di Wiedemann e Schmidt esclude l’ipotesi dell’elettrolisi in senso ristretto, affatto che il passaggio dell’elettricità non sia legato con un trasporto

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