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Perchè la scienza del moto potesse assumere nuovi postulati, perchè potesse introdurre altre nozioni e rivolgere lo studio ad altri enti, si doveva, come a tempo di Archimede e di Galileo, utilizzare ancora una volta i resultati della fisica.

Questo fu fatto nell’ultimo mezzo secolo per molte vie differenti, ma per vie in qualche modo parallele.

Enrico Hertz ha veduto come nessun’altro il carattere comune che informa le dottrine meccaniche moderne, e lo ha esposto in una pagina che giova rileggere.

«Se ci proponessimo di comprendere i moti dei corpi che ne circondano, e di ridurli a regole semplici e chiare, e se in questo tentativo volessimo tener conto solamente di ciò che cade sotto i sensi, la nostra fatica, almeno in generale, riuscirebbe a vuoto.

Noi ci dovremmo ben tosto convincere che il complesso di ciò possiamo vedere e toccare non forma punto un universo regolare, un universo nel quale da condizioni uguali scaturiscano sempre le stesse conseguenze. Ne dovremmo conchiudere che vi sono nel mondo più cose di quelle che sono immediatamente osservabili coi sensi.

Volendo formarci dell’universo una rappresentazione completa e chiusa in sè e regolare, ci è giocoforza, dietro le cose che vediamo supporne a altre invisibili, dobbiamo, dietro le barriere che il senso ci impone, ricercare ancora degli enti nascosti».

La meccanica moderna fu in realtà la meccanica dei moti nascosti e delle masse nascoste, e lo fu con due indirizzi diversi: in quanto cercò di escludere dalle sue considerazioni quei moti e quelle masse, limitandosi allo studio delle variabili date immediatamente dalla 0sservazione, e in quanto procurò invece di determinare le masse nascoste e le leggi dei loro movimenti.

Nel primo ordine di ricerche van poste la termodinamica e l’elettrodinamica classica e forse la meccanica ereditaria, mentre nel secondo rientrano la meccanica statistica, la dinamica degli elettroni, e, in parte almeno, la meccanica della relatività e la teoria atomica dell’energia.

Ma fra i due indirizzi si interpone sempre una forma di passaggio.

Da principio si studiano sperimentalmente i fenomeni e se ne enunciano le leggi; le quali prendono la forma di equazioni fra le grandezze a accessibili alla misura.

Molti anche a a tempo nostro, ritengono che ci si debba fermare qui.

Platone, e lo attesta Simplicio nel Commentario ai quattro