Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
mincia coi cestini d’una fruttarola, donna magra, untuosa (la quale passa i tre quarti della vita a grattarsi la testa), e finisce con un laghetto, una specie di compluvio naturale, alimentato con singolare costanza dalle donne del vicinato.
In fondo all’andito c’è una porta butterata dal vaiuolo, incrostata di ruggine, di ragnatele, d’immondezze; qualche cosa di schifoso. È la porta, per cui le donne vanno a fare la pulizia — pare impossibile — dei panni, in una specie di grotta, dai muri stillanti acqua e sudiciume.
Saliti quattro capi di scale, c’è un ripiano, dai mattoni sconnessi, regolarmente disseminati di gusci d’ova, di buccie di patate, e altri elementi commestibili, come sarebbe a dire cartaccie, stracciolini, chiodarelli e una quantità enorme di noccioli di ciriegia, abilmente disposti, in modo da far cascare la gente, a rischio di rompersi, Dio scampi, l’osso del collo.