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chiede Agenore indicando il gruppo che corona il palazzo.
— Quello, figlio mio, è lo Statuto, con l’Italia e l’Indipendenza, che ci fu largito in occasione della festa annuale, che appunto si chiama giorno dello Statuto.—
— E quelle statue più basse?
— Sono i duchi Torlonia, coi quali fu inaugurato questo tempio del genio.
— E artiglieria! — dice canzonando uno strillone che passa.
— Concentratevi nella venale esposizione delle vostre effemeridi, brutto vassallo, — gli replica, con voce severa, Policarpo, — e non turbate un padre, nell’atto d’impartire alla prole una saggia collaudazione intellettuale.
Lo strillone fa un giretto, poi torna pian piano e attacca una coda di carta ai bottoni retrospettivi di Policarpo; Agenore se ne accorge benissimo, ma il suo animo, inquinato da traviamenti immaturi, gli consiglia una muta ma odiosa complicità.