Pagina:Gandolin - La famiglia De-Tappetti, Milano, Treves, 1912.djvu/112

nerezza paterna gli sforzi aritmetici del figlio, poi dice a Eufemia stropicciandosi un occhio:

— Vedrai che non verrà; il tempo è minaccioso, il cielo è intempestivo.

— Papà, — gli chiede Agenore, — ma a che ora ha detto che tu lo aspetterai, con noi, perchè lui avesse venuto?

— La grammatica, la grammatica, figlio mio! — esclama Policarpo, con accento di terrore profondo, — ma le tue facoltà commemorative sono dunque così fiacche, malgrado le suggestività del tuo genitore? D’onde mai tanta oblivione, mentre ti ho detto di badar bene a quello che dici?

— Ma perchè dovessi parlare con la grammatica, se il mio padrino non c’è?

— La vita dell’uomo è unissona, — risponde gravemente Policarpo; — e sia detto per l’ultima volta che, quando in te stesso venisse meno il rispetto ai tempi, io non avrei la menoma oscillazione di tirar bene