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spazio bastava appena a un modesto pianoforte. Bice sopratutto era innamorata d’un gabinetto di studio, un vero buco, tappezzato di stoffa empire, con qualche gruppetto di Sassonia sopra mensoline dorate, e una scrivania di palissandro, su cui Bice dava corso a quel che chiamava la sua corrispondenza, che poi consisteva in una lettera che, un giorno sì, e l’altro no, riceveva da una sua prediletta compagna di collegio. Quello stambugio elegante, che pareva quasi un armadio a muro, era sempre allegrato di fiori, che spampanavano le corolle variopinte sopra alcuni bei vasi del Giappone: e all’unica finestra si vedeva ogni tanto Bice seduta, in atto di leggere un romanzo, della cui scelta era arbitra la sola miss Trollope, perchè l’ammiraglio soleva dire: