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è manifesto che posti i sostegni H, I sotto l’estremità D, F, ogni momento che si aggiunga di forza o di peso in E, quivi si farà la rottura.

Quello che ricerca più sottile specolazione è quando, astraendo dalla gravità di tali solidi, ci fusse proposto di dovere investigare se quella forza o peso che, applicato al mezo d’un cilindro sostenuto nelle estremità, basterebbe a romperlo, potrebbe far l’istesso effetto applicato in qualsivoglia altro luogo, più vicino all’una che all’altra estremità: come, per esempio, se volendo noi rompere una mazza, presola con le mani nell’estremità ed appuntato il ginocchio in mezo, l’istessa forza che basterebbe usare per romperla in tal modo, basterebbe ancora quando il ginocchio si puntasse non nel mezzo, ma più vicino all’un de gli estremi.

SAGR. Parmi che ’l problema sia toccato da Aristotele nelle sue Questioni Mecaniche.

SALV. Il quesito d’Aristotele non è precisamente l’istesso, perché ei non cerca altro, se non di render la ragione perché manco fatica si ricerchi a romperlo tenendo le mani nell’estremità del legno, cioè remote assai dal ginocchio, che se le tenessimo vicine: e ne rende una ragione generale, riducendo la causa alle leve più lunghe, quando s’allargano le braccia afferrando l’estremità. Il nostro quesito aggiugne qualche cosa di più, ricercando se, posto il ginocchio nel mezo o in altro luogo, tenendo pur le mani sempre nell’estremità, la medesima forza serva in tutti i siti.