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capo secondo 91


varia quantitá degli uomini dipende il prezzo di tutto. È ben vero che quasi infinita distanza è tra uomo ed uomo; ma, se il calcolo giungerá a trovarvi un termine mezzo, questo sará certo la misura vera, mentre l’uomo fu, è e sará sempre e in ogni parte il medesimo.

Questa io credo che sia la vera cagione, per cui i popoli della costa della Guinea si crede che abbiano una misura costante e ideale. Essi numerano colle «macute» (che vagliono dieci unitá) e il «cento», e per apprezzare costumano far cosí. Fissano il prezzo della loro mercanzia, che suol essere un uomo negro, a un dato numero di «macute»; per esempio uno schiavo di sotto a trent’anni sano e perfetto, che si dice «pièce d’Inde», a 305 «macute»: poi cominciano ad apprezzare quel che in cambio desiderano da’ nostri, dicendo che un coltello vale due «macute», uno schioppo trenta, dieci libbre di polvere trenta, e cosí fin tanto che giungano a 305 «macute»; ed allora, se il mercante europeo si contenta, siegue il cambio. Cosí si conta a Loango sulla costa d’Angola. A Malimbo e Cabindo usansi nel modo istesso le «pezze», ognuna delle quali corrisponde a trenta «macute». Credono i nostri mercanti che queste voci sieno puri numeri astratti, e perciò comodissimi; e cosí pensa il Savary1 e l’autore del libro dello Spirito delle leggi. Ma a me pare impossibile l’introduzione presso un popolo di questo numero astratto, e credo fermamente che da per tutto la moneta, con cui si paga, è quella con cui si conta. Il vero è dunque che, essendo la principal loro mercanzia gli schiavi, la loro moneta è l’uomo: moneta invariabile e di facile computo, quando in lui si valutino, come essi fanno, le sole qualitá del corpo. L’uomo è colle «macute» apprezzato, quasi le «macute» fossero suddivisioni del suo prezzo; ed ivi si vede per esperienza esser la piú costante valuta quella dell’uomo. Può essere che in un popolo cessi il costume d’aver servi; ma, fin ch’ei l’abbia, il prezzo loro sará il meno mutabile.

  1. Nel Dizionario del commercio, v. «macoute».