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proemio 3

non una informe lettera ma una ordinata opera si fosse fatta da un uomo tale. Ma egli, nella fretta con cui trattò quelle materie, ha una parte in tutto taciuta, e l’altra tanto oscuramente scritta, che al piú de’ lettori non può arrecar utile o piacere alcuno. Meritano anche onorata ricordanza Carlo Broggia e Troiano Spinelli duca d’Aquara, de’ quali l’uno l’intiera scienza delle monete, l’altro dell’alzamento con lode hanno trattato.

Che da costoro io abbia tolte varie notizie, nol nego: vero è che forse molte, meditando, avrò io trovate, che sembreranno prese da altri, sebbene cosí non sia. Ché se nell’opera non mi trattengo a citare alcuno, egli è perché le cose, che tratto, voglio che abbiano il loro vigore dalla ragione, non dall’autoritá. Similmente mi sono sempre astenuto dal contraddire ad altri citandolo, conoscendo che la dimostrazione della veritá è per se stessa una confutazione potentissima del falso; e la pompa di citare o di rispondere a molti ed in ciò dilungarsi, io credo che sia sempre da piccolezza d’animo cagionata. Inoltre ho procurato evitare ogni locuzione che sentisse di sublime geometria, e quella chiarezza maggiore, che per me si è potuta, ho tentato, con esempi e con dichiarazioni replicate, in sí oscura materia apportare; nel che forse, volendo altrui giovare, avrò me stesso offeso. Poiché le cose spiegate sembreranno tanto facili e piane, che i lettori, non ricordandosi della maniera con cui sono dagli altri, non dico esposte, ma inviluppate, le crederanno vecchie ed assai conosciute: tale essendo la luce della veritá, che, qualora si presenta all’animo luminosa ed aperta, sempre quasi antica e nota vi arriva. Ma io ho voluto piuttosto al pubblico bene con mio dispregio attendere, che senza utile altrui farmi credere intelligente di studi difficili ed astrusi. Il parlar misterioso è delle cose puerili l’ingannevole ingrandimento; e perciò a me, che di grande ed utile materia favello, mal si conviene. Finalmente non sono qui a chiedere compatimento e scuse, e della inespertezza, che fingessi credere in me, a fare una non sincera confessione. Colui, che ha di sé bassa stima, al pubblico non si ha da esporre; e, se il facesse, dell’ardire