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capo secondo | 39 |
cosí fortunate circostanze ritrovinsi, che possano, esercitando i loro talenti, grandi capitani apparire colle vittorie riportate. Fa in questo la natura come nelle semenze delle piante, che, quasi prevedendo la numerosa perdita, assai maggior quantitá ne produce e ne fa cadere in terra, del numero delle piante, che poi sorgono: perciò una pianta val piú d’un seme. Sopra questi saldi principi seriamente meditando, oh quanto la giustizia degli umani giudizi maravigliosamente riluce! Si troverá che tutto è con misura valutato. Si conoscerá che d’altra maniera le ricchezze ad una persona non vanno, che in pagamento del giusto valore delle sue opere; sebbene può egli queste ricchezze donarle a persona, che non è meritevole d’acquistarle. Ed infatti non v’è famiglia né uomo alcuno, che possa dire d’aver ricchezza, la quale non la ottenga o per merito suo o per dono di chi per merito la ottenne. Questo dono, se si fa in vita, si dice «favore»; se in morte, «ereditá» si chiama. Ma sempre, se si tien dietro alla traccia di quelle ricchezze, che taluno immeritamente ha, si osserverá che per merito furono in prima da su l’intiero corpo degli uomini acquistate. Vero è che spesso per centinaia d’anni o di persone bisogna trascorrere; ma pur alfine questo termine s’incontra, e la ragione lo insegna.
Sento però giá dirmi che il merito o la virtú restano cosí spesso non premiati, ch’è follia il negare i frequenti atrocissimi atti dell’ingiustizia umana. Ma qui mi si permetta del falso ragionare fare avvertito chi lo vuol essere. In primo non bisogna chiamar «virtú» e «sapere» quelle professioni, che, sebbene abbiano raritá e difficoltá grande, non sono però atte a produrre né vera utilitá né piacere alla moltitudine, dalla quale, e non da’ pochi, si fanno i prezzi. In secondo luogo è da pensare che, l’uomo essendo composto di virtú e di vizi, non si possono premiare le virtú, sicché l’uomo vizioso non resti nel tempo stesso premiato: ma non si ritroverá mai che il vizio abbia esaltato alcuno. Sono quei talenti utili e buoni, che uno ha, quelli che lo sollevano, e solo accade che talora i suoi difetti non gli facciano ostacolo. Ma vero è sempre che, se questi difetti non avesse, piú in su sarebbe pervenuto. In terzo si