Pagina:Galiani, Ferdinando – Della moneta, 1915 – BEIC 1825718.djvu/345


note aggiunte nella seconda edizione 339


la conseguenza, tenermi di sotto assai del vero. Veggo con piacere ora che nello scorso anno da’ credenzieri di cittá assistenti alla zecca fu asserito al sovrano che ve ne fosse fino alla somma di tre milioni e trecentomila ducati. Come abbiano essi calcolato con esattezza questo che asseriscono, non mi è noto. Comprendo bene che potevano con faciltá (in virtú della loro carica e della libertá che hanno di poter consultar i registri e gli archivi loro) saper fino all’ultima esattezza quanta in vari tempi se ne sia battuta, ma quanta poi ne sia la distrutta, dispersa, andata via, non si può se non per congetture sapere. Ad ogni modo, io credo che sia piú vera la quantitá asserita da’ credenzieri che quella da me di sotto al vero, per non sbagliare, presupposta. Lo stesso posso dire della quantitá dell’argento e dell’oro circolante tra noi. Inoltre, come nella nota decimaquinta ho di sopra avvertito, è sommamente e quasi del doppio cresciuta la quantitá dell’oro e dell’argento nel Regno, ed io non dubiterei asserire che vi siano attualmente piú di otto milioni di ducati d’argento e piú di venti milioni d’oro.

XXV

(p. 247. r. 12 sgg.)

Sará facile ai lettori ravvisare in questa breve sentenza, non dico il germe, ma anzi l’ultima analisi e la conclusione di quanto fu da me a lungo disteso e disputato venti anni dopo in que’ Dialogues sur le commerce des blés, pubblicati in Parigi nel 1769, che ebbero tante lodi e tante confutazioni, e forse del pari ambedue poco meritate. Abbagliò dunque l’illustre mio amico l’abate Morellet, allorché, in una delle confutazioni da lui scritta, credè scorgere contraddizione tra questo mio libro della Moneta e quello, e convincermi cosí, applicando al commercio d’esportazione quanto io generalmente e sempre ho detto in favore della libertá. Mai non è stata mia opinione che si dovesse assolutamente vietare o frastornare il commercio d’esportazione de’ grani. Ho solo detto, e sieguo a dirlo, doversi sospirare e desiderare quel momento, in cui, per la cresciuta popolazione e non per lo divieto d’inopportune leggi, una nazione non è piú in istato di farlo; ed aggiungo doversi dal principe piuttosto sagrificare questo commercio all’aumento della popolazione che non questa a quello.