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note aggiunte nella seconda edizione 337


d’argento consolari ed imperiali, quando sono tutte d’argento, eran denari o quinari; le foderate erano i sesterzi. Non posso restringere nel breve spazio d’una nota gli argomenti che mi muovono a pensar così; dovendo anzi esser soggetto d’una lunga dissertazione, che nulla avrebbe che fare coll’oggetto del presente libro. Solo qui dirò esser rimarchevole che ovunque si battettero monete foderate, non vi furono monete di billon, e allora cominciano le monete di billon imperiali sotto Gallieno, quando finiscono le foderate. Avvertirò inoltre non esser vero ciò che in questo libro ho detto, seguendo le opinioni altrui, che si sbassò il rilievo de’ conii per riparar alla frode delle monete foderate. Il gusto di batter le monete poco alte di rilievo si osserva cominciato in Roma mentre era ancor repubblica e nelle medaglie etrusche di Capua e di qualche convicino luogo, ed osservasi del pari usato nelle monete d’argento e in quelle di rame. Ed appunto tralle consolari, che sono di poco alto rilievo, s’incontra il maggior numero di foderate; mentre nelle rilevatissime monete e assai piú grosse d’argento di Sicilia, d’Atene e d’altri luoghi, non s’incontra niuna moneta foderata, come niuna se n’è trovata mai d’oro foderata. Grandissimo argomento che ciò non provenisse da’ falsatori. Né è minore argomento il vedersi per cinque secoli e piú nella sola repubblica romana e nelle colonie italo-greche copia grandissima di monete foderate, senza che né gli storici parlino di esse come d’una calamitá, né s’incontrino leggi fatte per ripararla.

XXIII

(p. 171, r. 13)

Monsignor Diego Vidania spagnuolo, uomo di sano giudizio, di coraggiosissimo animo e di vasta letteratura, esercitò con gloria la carica di cappellan maggiore tra noi, finché nel 1733, avendo oltrepassata l’etá centenaria, se ne dismise, poco prima di morire, cedendola a monsignor Galiani, arcivescovo di Taranto, mio zio. Il Vidania avea per lunghissimi anni, prima di passare a Napoli, esercitata in Ispagna la carica d’inquisitore. Confessava ingenuamente al suo segretario don Giacomo Taccone che in tanti e tanti anni, di quante inquisizioni sulle stregonerie, sortilegi, incantesimi, apparizioni avea fatte egli o i suoi compagni,