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note aggiunte nella seconda edizione 321


Né io avrei detto «forse si troverá», se giá lo avessi trovato. Solo mi pareva allora veder quasi un barlume ed una via, che sull’uomo stesso e sulle sue relazioni verso gli altri uomini fosse da trovarsi questo valor fisso. Sempre ho ripensato poi a sciogliere il problema. Ho conosciuto che il regolarsi sul prezzo degli schiavi (come allora mi parve potersi fare) non soddisfa. Miglior guisa sarebbe il salario del soldato; ma neppure è guida sicura, perché sono essi stati variamente trattati e stimati secondo i vari secoli e le varie nazioni. Inoltre quel, che imbarazza il calcolo, è che né a’ soldati né a’ faticatori di qualunque arte o mestiere quel, che si dá, si dá tutto in moneta: sicché pare che s’abbia da far cosí. Ridurre prima a valuta di danaro tutto quel tanto, che un uomo ha di bisogno per vivere; cercare indi quello stato infimo e piú disaggiato, a cui può ridursi un povero vivendo, sicché non muoia. Questa somma, ridotta a questo termine, sará il valor fisso costante, che dará l’idea delle proporzioni di ricchezza e dello stato della moneta in ogni secolo ed in ogni nazione, perchè esprime la proporzione che un uomo fisico, cioè spogliato d’ogni valor morale e calcolato quasí come un bruto, di quelli ai quali non dia valore la bellezza o l’intelletto (come ne’ cavalli e ne’ cani da caccia), ma semplicemente come un animal da soma, ha al resto della societá. Questa ragion di valuta è manifesto che abbia ad esser sempre costante, e sempre lo sia stata in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Per spiegarmi piú chiaramente: in Napoli io calcolo che, al di d’oggi, un uomo, con sua donna e senza figli, se quanto han di bisogno e ricevono si valutasse tutto in denaro, non possono vivere con meno di otto ducati al mese; nella marca d’Ancona lo possono forse con cinque scudi romani; in Parigi non lo potrebbero con meno di settanta lire, né in Londra con meno di cento scellini. Dico dunque che otto ducati in Napoli nel 1780 equivalgono a cinque scudi nella marca d’Ancona, a settanta lire in Parigi, a cento scellini in Londra. Questa è l’equivalenza morale, la quale, siccome varierá moltissimo ne’ nomi e ne’ numeri delle monete ad ogni minima vicenda di tempo e di luogo, cosí sempre in se medesima sará costante. L’equivalenza numeraria per contrario, che si regola sul solo peso del metallo, sembra immutabile, perché sará sempre certo che cinque tari correnti napoletani pesino quanto quattro lire e tre soldi di Francia; ma sará sempre variante l’equivalenza ad ogni minima varietá di ricchezza o di povertá di luogo e di felicitá o di calamitá di annata. Il saper le