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I

(p. 2, rr. 23-4)

È facile accorgersi nella lettura di questo libro che fu mio proponimento di citar per nome il meno che mi fosse possibile quegli scrittori ai quali mi sarei opposto, parendomi che i sentimenti, e non i nomi delle persone, siano da combattersi da chi tiene contraria opinione. Inoltre previdi che, quando si sarebbe risaputo che io era l’autore, moltissimi si sarebbero scandalezzati a veder un giovanetto mancar di riverenza a qualche nome venerato, e, senza pesar piú oltre le ragioni, avrebbero subito concluso che io non potessi dir bene: tanto è proclive la nostra natura a cercar le cause di persuadersi di fuori sempre dalla ragion intrinseca delle cose. Ora, che non son più giovane e che, come dicea il Correggio, «sono pittore anche io», non temerò di dire che tra molti scrittori, che ebbi in mira allora di biasimare per avere sconciamente e male scritto sulla moneta, e che, malgrado ciò, si trovavan citati quasi avessero autorità, si diresse particolarmente il mio pensiere a Bernardo Davanzati e all’abate di Saint-Pierre. Il Davanzati scrisse nel principio del secolo passato una Lezione accademica sulle monete in basso volgar fiorentino (che è senza dubbio di tutti i dialetti italiani il più disgustoso, verificandovisi il noto assioma, che «corruptio optimi est pessima »), ed è impressa nel tomo quarto delle Prose fiorentine. Non migliori dello stile sono i suoi insegnamenti. L’abbate di Saint-Pierre, Ireneo du Castel, scrisse pure sulla moneta, avendo avuto soltanto in mira i successi del famoso sistema del Law. Erano le sue opere, di cui si fece una compiuta edizione in Olanda nel 1743, di fresco giunte in Italia, e statevi accolte con entusiasmo per la stima dell’autore, che fu certamente d’animo quanto possa mai dirsi onesto e virtuoso. Ma la mente di rado ha corrispondenza col cuore, come ce ne dá