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capo quarto | 309 |
CONCLUSIONE DELL’OPERA
Considerando io meco stesso d’avere in parte adempiuto il mio dovere, scrivendo di materia utile al genere umano, sento tanta letizia nell’animo, che, qualunque sia per essere l’evento dell’opera, dal solo averla fatta mi stimo abbastanza rimunerato. E certamente, se non è piú tempo d’adorare la patria, egli è sempre tempo d’amarla, di difenderla, di venerarla. Mi duole però e mi affligge che, mentre i regni di Napoli e di Sicilia risorgono e si sollevano colla presenza del proprio sovrano, il restante d’Italia manchi sensibilmente di giorno in giorno e declini. Della quale declinazione, siccome sono molti i segni, cosí io credo il maggiore essere l’infinito discorso e l’innumerabile quantitá di riforme, di miglioramenti, di leggi e d’istituzioni sul governo, sul traffico e sopra tutti gli ordini dello stato civile, fatti da per tutto ed a gara intrapresi. Perché negli uomini vecchi le grandi idee ed il continuo affannato movimento, nascendo da interna angoscia e guastamento degli organi, sono sempre indizio di vicina irreparabile morte. Perciò non mi pare potersi piú sostenere il detto del nostro antico poeta:
Che l’antico valore
negl’italici cuor non è ancor morto;
ma dubito che finalmente, datasi pace, non s’abbia a cominciare a dire che
Italia è vecchia e alla barbarie inclina.